Intervista premeditata

di Nicola Gentile

 

Antonella Norcia, tu sei figlia d’arte perchè tuo padre Domenico è un bravo ed apprezzato scultore, fuori dalle ultime grida dalla savana sperimentalista : la tua “creattività” (come so che a te piace dire, e forse non a caso) è stata più indotta, oppure è stata presa all’ “amo” di sobillazioni decisamente fuori dal “nome del padre”?

Mi piace l’immagine di presa all’”amo” per una “creattività” che sento vagabonda, errante che divaga e spazia in ambiti diversi.

“Sono vasto, contengo moltitudini”. Ho un debole per questa frase di Walt Whitman contenuta nel poema “Canto di me stesso”. In effetti mi sento permeabile e trovo che gli incontri per lo più fortunati e le collaborazioni con gli altri mi arricchiscono e mi rinnovano.

In generale credo che il pensiero creativo non possa prescindere da una condizione condivisa, minando l’intelligenza collettiva si finisce per minare l’intelligenza connettiva di ognuno di noi, forse è per questo che ho scelto per presentare il mio ultimo progetto, la biblioteca scolastica di una scuola elementare di Roma, una frase di Marguerite Yourcenar: “ Fondare biblioteche è come costruire granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”.

Per tornare alla domanda, direi che si, altre sobillazioni, altri incontri hanno acceso la mia anima di ragazza che pur protetta e ammansita sotto l’ala paterna, ha voluto, non appena ha potuto, spodestare il mito del pater, cambiare l’ordine delle cose per cogliere l’effetto benefico di quei sedimenti familiari che sono così diventati per me humus vitale  solo dopo essere stati ossigenati, abbondantemente smossi da rabbiose, eroiche e faticose vangate di ribellione.

Se ti senti in qualche modo un arcipelago di attitudini procreatrici (compresa quella di madre che non avversa né inibisce le altre) con quale profilo ti distribuisci e coniughi le varie isole “ideattive” ?

Vedere conoscere approfondire sentire ascoltare capire pensare scrutare infine creare. E’ così che vivo tutta la fascinazione dell’avventura del progettare, sentendo la creazione come necessità di rigenerarsi, una pulsione ad espandersi, direi quasi una battaglia contro il rischio di un forzato adattamento a una qualche univoca “gabbia”.

Mi piace pensarmi come un’identità polimorfa che scompiglia orientamenti, modelli di gerarchia e di genere.

Con questa tua sensibilità e questa tua anima proteiformi in quali figure di “creattività” ti riversi meglio in questo periodo e quali modelli di stratificazione – culturale presumo – ami scombinare ? Quale tipo di de-generazione ti attira intensificare ?

Premesso che pur avviandomi in una certa direzione, sono sempre disponibile a digressioni, soste e deviazioni improvvise, direi che sono attratta da quell’area dagli incerti confini in cui si mescolano artigianato,  design e arte. Mi ispiro alle esperienze di William Morris che rivalutava il ruolo dell’artista-artigiano medioevale, invocando insieme ad altri artisti dell’ Art Nouveau la necessità di fondere questi universi; ripenso alle produzioni di “Arts and Crafts”, alla poetica di quegli oggetti di rara bellezza ed eleganza, frutto del ricercato lavoro dell’artista-artigiano. Per questo trovo calzante l’espressione “artefice” con cui hai sintetizzato il mio percorso orientato a creare manufatti “handmindmade”; felice locuzione, anche questa di tuo conio, evocativa nel suo ritmo sincopato del continuo gioco di scambio. Sono da leggere in questa chiave creazioni, che, seppure diverse nel loro genere e ambito, hanno una comune matrice ideativa in cui la dimensione concettuale gioca appunto con la seduzione dell’immagine e con la complicità della manualità. Nascono così le “Beautiful Minds”: la  collezione di teste che creo insieme a mio fratello Marcello, gli oggetti di design Norcia & Norcia, o ancora il tavolo Lisca – anima mobile (in collaborazione con lo studio di progettazione One Piece), gli ultimi recentissimi elementi di arredo in materiale riciclato  e infine,  in quanto arti applicate, in linea con il pensiero di Morris, i gioielli in vetro di Murano.

Quanto ai modelli di stratificazione culturale, c’è sempre un’influenza individuale. Paul Valery diceva: “Tutta la nostra esperienza percettiva è culturale”. Ma è altrettanto permeante un’influenza di tipo generazionale. La mia generazione è stata marchiata a fuoco da un edonismo frivolo, trash  e ambiguo, l’apoteosi del gusto del cattivo gusto. A partire da questo scenario che  ho sempre sentito non appartenermi, ho intrecciato il mio movimento creativo gioco – mito – rito tessendo la trama di un racconto plastico visivo che era tutto nel mio immaginario, legato ad una traccia, ad una memoria letteraria, ad una suggestione pittorica o scultorea.

Borges scriveva:“ Chi crea si muove in sospensione tra memoria e oblio”. La mia de-generazione  è il viaggio nel mio microcosmo, è  riconoscere e  afferrare l’emergere di qualcosa che per incanto si rivela.

Veniamo alle tue Teste “beautifully minded” : io trovo che abbiano una sagoma essenziale di vaga allusione ittica e diano quindi una certa suggestione come di erratici profili di abissi che tu poi “stilizzi” con connotati umani – e fin qui ci siamo con una certa ispirazione di morfologie naturali alle composizioni d’Artefice, nella migliore tradizione del Liberty da te citato (basti pensare alle teste viperine ed alle linee serpentinate di Beardsley) . Però nel momento in cui tu le tue Teste meglio le caratterizzi con la tua fantasia compositiva, ritieni che possano o vogliano apparentarsi a qualche maniera d’Autore magari da te anche molto amato ?

Non so perché ma a me di slancio sono venuti in mente Baj e Modigliani. 

Bella la suggestione delle allusioni ittiche, ancora una volta hai colto indizi neppure a me così chiari. Sarebbero riemerse queste creature dunque dagli abissi, dopo aver nuotato tra le efflorescenze fantastiche della mia “mediterranea-mente” (è così che ho scelto di firmare le mie ultime creazioni di gioielli).

E’ a questo mare che sento di appartenere, “al Mediterraneo degli dei e delle forme” magicamente raccontato in “Armonia perduta” di Raffaele La Capria. Come artista di oggi, sarei felice di riuscire ad evocare nei miei lavori il luogo epico, i suoi colori, i suoi incanti, i suoi dei,  la grandezza dello scenario della sua umanità.

Quanto alla fantasia compositiva nel caratterizzare i dettagli, è facile rintracciarvi una trama di richiami simbolici mitologici e stilistici. Qualcuno mi ha fatto notare una parentela con le maschere rituali per il loro primitivismo; ho immediatamente pensato ai miei due anni vissuti in Sud Africa da bambina, alle suggestioni delle tante maschere africane viste lì e a quelle portate al ritorno in Italia dai miei, che hanno popolato le pareti di casa per tanto tempo… Chissà!!

Dovendo pensare a possibili influenze, riconosco i richiami a maestri dell’astratto come Klee per la sintesi fisiognomica affidata a pochi elementari segni e per la “generale stupefazione che aleggia muta” nelle sue facce.

Di Modigliani, che sapeva cogliere magistralmente un atteggiamento, un moto e pur nella resa realistica creare un’immagine “astratta”, mi piacerebbe raggiungere quella libertà di esprimersi con poche linee.

E veniamo infine ad Enrico Baj, il maestro a me più vicino, se non altro per una questione meramente temporale!! Sono molto affascinata dalle sue teste-maschere-facce; il primo regalo di mio suocero, sapendo di questa passione è stata una sua  faccia “la Favorita del Presidente” in ceramica policroma. Le teste della serie “I Guermantes” non sono ritratti nel senso tradizionale del termine, e neppure caricature e non c’è una rassomiglianza con persone reali, sono piuttosto effigi, in quanto si tratta di rappresentazione di personaggi giudicati importanti, una trasmutazione dei valori letterari di uno stile poetico di narrazione (Proust) in stile pitturale o, come dice Baj, “pittico”.

E’ questo  meccanismo di riappropriazione ludica e fantasiosa di Baj  che trovo molto interessante e vicino alla ricerca che percorro anch’io nei miei recenti lavori. Baj giunge ad una figurazione ironica e farsesca, io tendo a muovermi su un registro più di equilibrio formale di qualità decorativa  ed estetica.

Per chiudere mi piace ricordare anche un altro piccolo dettaglio che mi avvicina al maestro milanese, la passione per il vetro di Murano, materiale che il “patafisico” scopre nello studio di Lucio Fontana. <<Fui attratto da quel firmamento di cristalli stellari e Lucio me ne regalò una piccola scorta>>.

Il vetro di Murano è anche molto presente nelle tue collane. Con quale cognizione materica le cuci e ne curi le combinazioni? C’è forse una personale ispirazione alchemizzante, un tuo occulto estro semantico nella scelta delle pietre (filosofali?) montate?

<<Veniva da Murano quel materiale luccicante, colorato, opalescente, in cui leggevi il fondersi, al gran fuoco, dell’arcobaleno nella pasta vetrosa…>>, sono ancora  parole di Enrico Baj prese in prestito per restituire tutto il mio incanto e la fascinazione per questa meravigliosa alchimia. Le mie teste si colorano di bocche vermiglie, occhi plumbei e barocchi ciuffi di capelli, ricercati dettagli prodotti nelle fornaci di Murano e dunque, come non provare a giocare con gli scintillii di quelle perline colorate che chiedevano con forza di essere assemblate?

Fin da piccola ho frugato nei cassetti di mia madre alla ricerca di qualche prezioso strumento di seduzione, adoravo le sue collane vistose anni ’70 e  mi piaceva la luce di cui si vestiva quando le indossava. Le collane mi divertono per la loro posizione privilegiata sul décolleté: ci giochi, ti accompagnano nei movimenti e quando sono belle ti illuminano il viso di grazia. Il vetro ancora oggi mi attrae: la trasparenza nelle sfumature, i sorprendenti cromatismi mutevoli alla luce, le infinite variabili tecniche ne fanno un materiale senza tempo portatore di millenni di creatività ed esperienza degli artigiani dell’area mediterranea.

Ben lo sanno le donne della vicina Africa che continuano ad adornare di perle di vetro il proprio corpo, indossandole, manifestando così il proprio status e il ruolo sociale caratteristico dei propri paesi. Talvolta  riconoscendo alle perle  un valore simbolico aperto perfino a versanti scaramantici o propiziatori della fertilità, nella convinzione che esse possiedano valori magici, apotropaici, di difesa dal malocchio e dalle disgrazie conseguenti.

Richiamare ed evocare  queste possibili suggestioni per renderle  ancora vive nelle mie creazioni è di per se attraente, ma è un’alchimia assolutamente occulta, un farsi guidare dalla materia stessa, seguendo il principio della “serendipity”.

Nelle ultime collezioni di gioielli nell’assemblage compositivo entrano in gioco altri materiali: i quarzi, le ametiste, l’ossidiana, il corallo, la pietra pomice, la pietra lavica, la ceramica raku, il legno, l’osso, le resine naturali o sintetiche, il metallo, la madreperla, la seta ed altri materiali e cordami di più umile provenienza. Sono creazioni della collezione “ritrovamenti” o “racconti mediterranei” che vedono perle di varia natura infilate in stringhe, in un ordine asimmetrico, essenziale e scarno, senza le preziosità e le simmetrie delle parure occidentali.

Hai evocato tutta l’energia emblematica che si può snodare nelle collane (comprese le tue) dentro una concatenata malìa che corteggia e civetta con la grandezza del Simbolico: eppure mi avevi parlato, tempo fa, della tua “visione” di una collana che concepiresti “concettuale”, in una dimensione ludica di piccoli furti premurosi di parole, scippate con eleganza ad aforismi, citazioni, motti, detti, magari proverbi… che tipo di frizzante allucinazione stai per metter in opera ?

Mi piace raccontare questa “frizzante allucinazione”, uno scherzo e  non un gioco come Carmelo Bene avrebbe prontamente precisato puntualizzando che  i bambini giocano, gli adulti scherzano.

Il mio scherzo è creare  la collana che ha “diritto di parola”, la immagino  composta da perle trasparenti, all’interno delle quali sono incapsulati frammenti di scrittura: aforismi, citazioni, versi. Non penso ad una sacralità  referenziale che cristallizzi la venerazione per la scrittura, ma piuttosto ad  un assemblage  che metta insieme strati di memoria,  cose lette, folgorazioni, incantamenti, liberamente ricomposti, destrutturati, senza un prima e senza un dopo, trasportati da una folata di vento e adagiati sui seni, a un passo dal cuore, “la seduzione della bellezza concettuale”  che parla  agli occhi e all’anima.

Una variante  elaborata recentemente, di cui sono molto soddisfatta vede le parole incise su frammenti di argilla colorata, come i graffiti dei nomi sui frammenti di terracotta usati dagli ateniesi per le votazioni di ostracismo per evitare ogni possibile ritorno alla tirannide. Che sia l’ennesimo cortocircuito espressivo ad evocare “l’esilio dalla bellezza” e magari a scongiurarlo? Si scherza… naturalmente!

Magnifico! Ci parleranno addosso queste collane, e ci attaccheranno bottone con irresistibile civetteria : basteranno poche folate e si porteranno in testa alle tue cose più gradite, ne sono sicuro, e “pazzian’ pazzian’”, segretamente, forse, per chi vorrà “sentire”, sussurreranno, smorfiose, qualcosa come “le langage des fleurs et des choses muettes”… Non ti pare ? 🙂

Mi “appare” … mi “appare” … 🙂